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Non c'è unione tra i cuochi Così il Governo aiuta altri settori

La categoria ha dimostrato in questi mesi di emergenza da coronavirus di non essere capace di presentarsi alle istituzioni in modo unitario per far sentire la propria voce. Al contrario, sono nate nuove associazioni che non hanno fatto altro che disperdere le forze e dividere ulteriormente i professionisti del settore.

di Matteo Scibilia
Responsabile scientifico
10 giugno 2020 | 06:50
Non c'è unione tra i cuochi 
Così il Governo aiuta altri settori
Non c'è unione tra i cuochi 
Così il Governo aiuta altri settori

Non c'è unione tra i cuochi Così il Governo aiuta altri settori

La categoria ha dimostrato in questi mesi di emergenza da coronavirus di non essere capace di presentarsi alle istituzioni in modo unitario per far sentire la propria voce. Al contrario, sono nate nuove associazioni che non hanno fatto altro che disperdere le forze e dividere ulteriormente i professionisti del settore.

di Matteo Scibilia
Responsabile scientifico
10 giugno 2020 | 06:50
 

Forse ci vorrebbe un professor Alberto Zangrillo (il primario dell’Unità Operativa di Anestesia e Rianimazione dell’Ospedale San Raffaele di Milano, ndr) anche tra i cuochi e i ristoratori, capace di dire come stanno davvero le cose, ovvero qual è lo stato di salute di cui gode oggi l’intera categoria. Zangrillo ha esternato il suo pensiero sull’emergenza Covid, su cui si può essere d’accordo o meno, sostenendo che il virus, a livello clinico, è scomparso. Una voce, la sua, quasi unica nel coro degli scienziati e dei virologi. Coraggio, competenza, sfida, oppure follia? Ad ogni modo, ha pronunciato quelle parole assumendosene la responsabilità. Sfidando le regole e il pensiero comune, ha lanciato una pietra nello stagno, come si dice, forse per affermare che “il re è nudo”.

Non c'è unione tra i cuochi Così il Governo aiuta altri settori

Poche convergenze tra le diverse associazioni di cuochi e ristoratori

Prendendo spunto dalle parole di Alberto Zangrillo, aggiungiamo anche l’ottima osservazione di Cristina Bowerman, passata un po’ sottotraccia, che ha lanciato in rete una riflessione in cui ha denunciato l’incapacità della categoria dei cuochi e dei ristoratori nell’essere poco incisiva sulle scelte politiche nazionali del settore, «soprattutto - afferma Cristina - perché come categoria non siamo uniti e coesi».

La dimostrazione sta nella poca attenzione che il Governo ha mostrato nei confronti di un comparto che fattura oltre 90 miliardi e che occupa circa un milione e 200mila addetti. Parliamo di un settore che ha una filiera impressionante, basti pensare che ogni ristorante ha rapporti con almeno 30/40 aziende vinicole e che, dal bar alle pizzerie, gli elenchi dei fornitori occupano almeno due pagine fitte di nomi e indirizzi.

Ma cosa centra il richiamo al professor Zangrillo? E soprattutto, cosa c’entriamo noi cuochi e ristoratori con tutta questa storia? Riprendo il concetto di Cristina Bowerman: il settore non è unito né tantomeno coeso, e su questo lei ha ragione. Sul piano delle aziende abbiamo una grande organizzazione dei pubblici esercizi, la Fipe di Confcommercio, forte di oltre 130mila associati, ed un'altra più piccola, la Fiepet della Confesercenti, sigle che di fatto coprono tutte le aree del comparto.

La categoria dei cuochi si è dimostrata divisa - Non c'è unione tra i cuochi Così il Governo guarda altrove
La categoria dei cuochi si è dimostrata divisa

Poi ci sono due associazioni di cuochi (di professionisti che in qualche caso sono anche patron). Anche qui ne abbiamo una maggioritaria, la Federazione italiana Cuochi (Fic), ed un'altra più piccola, l'Associazione professionale Cuochi Italiani (Apci), entrambe con migliaia di associati. Poi ci sono le associazioni largamente minoritarie (parliamo per quanto riguarda il numero degli iscritti), a volte basate solo sui professionisti, tipo Euro Toques, e in altri casi che mischiano fra loro cuochgi dipendenti e ristoratori. Pensiamo a le Soste, ristoranti stellati e di alto livello, i Giovani Ristoratori JRE, Chic,  Il Buon Ricordo, Gli Ambasciatori del Gusto, appunto di Cristina Bowerman, fino ad arrivare ad associazioni regionali se non provinciali, tipo le Soste di Ulisse ed altre ancora. Una serie di sigle in cui spesso anche gli addetti al settore si perdono, molti cuochi e ristoratori sono associati a più di una associazione, quindi i numeri non sempre sono reali. Come pure gli interessi che perseguono.

La Fipe e la Fiepet non svolgono solo una azione sindacale, ma sono anche organizzazioni che fanno marketing, promozione e offrono servizi. E nella fase di crisi più acuta sono le uniche che si sono confrontate ogni giorno di fatto con le strutture governative per cercare di ridurre i danni del lockdown. È peraltro un fatto che durante l’emergenza Covid-19, una cosa è apparsa chiara: nonostante questa quantità di sigle ne sono nate altre in tutto il Paese a livello cittadino e provinciale, tutte con lo stesso animo: difendersi da norme, decreti antivirus ed economici che non aiutavano il settore. E questo anche per reazione al fatto che, come ha denunciato dal primo giorno proprio Italia a Tavola, il Governo non ha però mai chiamato nelle diverse task force esperti o addetti con le conoscenza e le competenza di ristorazione e di turismo necessarie per affrontare con cognizione di causa i problemi specifici dei vari settori economici del Paese.

Ma questo però è solo un aspetto del problema. Se è vero (ed è vero), che il Governo non ha interpellato gli esperti, ci sarebbe da chiedersi perché i tanti cuochi e ristoratori non hanno affidato le loro proteste alle stesse associazioni di cui fanno parte, e hanno a volte scelto di dividersi e indebolire ulteriormente la loro stessa rappresentanza?

Nessuno si è fidato? Perché le mail o i centralini dei sindacati nazionali non sono stati intasati dalle richieste di aiuto? Qualcuno si è voluto per caso togliere e lanciare qualche sassolino? Qualcuno ha sperato di ergersi come nuovo leader della categoria, con la speranza che qualche sottosegretario lo convocasse a Roma? In tanti ci poniamo ora queste domande. Serviva unità, ma molti hanno preferito giocare in proprio pestando acqua nel mortaio...

Per onestà non è stato solo così: in tanti hanno protestato anche con gesti di piazza. Pensiamo all’Arco della Pace di Milano dove sono fioccate anche molte multe. Molti hanno organizzato video conferenze. Abbiamo tutti imparato cosa è Zoom. Questo movimentismo non ha però favorito un’immagine di insieme della categoria. Ogni gruppo, ogni nuova associazione, ogni leaderino di quartiere, ha tentato di dire la sua. Spesso con tematiche diverse, ma certamente non ne è scaturita un’azione unitaria. Anzi, ad essere più precisi, in alcune operazioni le sigle sopradescritte erano elencate insieme in alcuni “manifesti“, ma l'efficacia di queste azioni è stata scarsa.

Quando poi al Governo hanno cominciato a raccogliere un po’ di idee sul da farsi, naturalmente solo le sigle accreditate, Fipe in particolare, sono state interpellate (il direttore Roberto Calugi è intervenuto anche in alcune audizioni nelle commissioni parlamentari riuscendo a sbloccare alcuni interventi fondamentali) per interpretare il malessere e le istanze delle categorie.

Probabilmente non c’è stato dialogo, o forse dinanzi alle prime avvisaglie dell’emergenza non tutte le associazioni hanno saputo cogliere i segnali che arrivavano dalle periferie: non hanno davvero rinunciato tutte al particulare, anzi, e non sono state tutte in grado di rappresentare un comparto articolato che va dalla piccola gelateria alla grande catena tipo autogrill.

Non c'è unione tra i cuochi Così il Governo aiuta altri settori

Ma mi chiedo, ci chiediamo, perché invece di intasare i centralini o i web della Fipe, la più grande associazione di categoria, si sono “sprecati” tempo ed energie nel formare nuovi gruppi, che se pur animati da valide motivazioni non potevano sperare che il Governo li chiamasse a raccolta? Il Re è Nudo, certo. Ci sarebbe anche da richiamare una componente importante di questi risvolti: quasi tutte le associazioni, grandi o piccole, hanno giornalisti che in qualche maniera supportano le istanze dei gruppi: se ai cuochi si può addossare l’incapacità di essere uniti, i giornalisti/mentori delle associazioni stesse non sono da meno; d’altronde è nota la loro proverbiale gelosia.

Il risultato conferma quanto dice Cristina Bowerman, ovvero che il settore non è unito e coeso. Ma come tutti noi,  anche lei dovrebbe fare un mea culpa: anche la Regina è nuda. La sua associazione era l'ultima nata aggiungendo una nuova sigla alle tante, troppe. 

Dovremmo dunque riflettere sul perché siamo arrivati a questi risultati. Nonostante le associazioni già presenti, oltre alle nuove nate, ancora oggi c’è qualche ristoratore che fa lo sciopero della fame all’Arco della Pace a Milano, senza che quasi nessun rappresentante della categoria abbia espresso solidarietà.

Non c'è unione tra i cuochi Così il Governo aiuta altri settori
Poche convergenze tra le diverse associazioni di cuochi e ristoratori


L’unità resta dunque solo nelle parole.

E qui veniamo a un punto fondamentale: cara Cristina Bowerman e cari tutti, non siamo ascoltati, non siamo considerati, non siamo coesi, perché ognuno pensa al suo orticello, tutti convinti che basti una sigla e qualche centinaio di firme raccolte sul web, perché il sottosegretario di turno ci convochi a palazzo Chigi per ascoltare i nostri problemi. In molti casi alcuni associati di Fipe e Fiepet hanno scavalcato le loro associazioni sperando di avere un po’ di visibilità. E questo anche se, chi aveva possibilità di dialogare con la politica era - e lo è ancora - solo chi in quelle stanze è presente in maniera istituzionale, cioè i sindacati nazionali che rappresentano davvero una massa critica di imprese. I rst sono solo piccoli gruppi rappresentanti di piccoli interessi. Il settore non è unito né coeso anche perché molte associazioni non collaborano fra di loro, tutte tese a portare a casa il più possibile, vale a dire nuove quote associative e sponsor.

Insomma, la speranza è che il “dopo-virus” porti più solidarietà e più collaborazione tra i cuochi, soprattutto in vista di una nuova crisi all’orizzonte, quella economica. di cui finora abbiamo solo un brutto assaggio.

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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12/06/2020 19:01:35
1) Risposta di #FareRete
Gentile Direttore Alberto Lupini,
partiamo dal presupposto che tutti possono sbagliare, perché si sa che sbagliare è lecito, ma quando l’errore è ripetuto, diventa uno di quei brutti vizi che poi è difficile scrollarsi di dosso. Tra questi vizi c’è anche quello di parlare - e scrivere - in maniera poco adeguata, dando informazioni che passano dall’essere imprecise all’essere scorrette. Noi, di vizi e viziosi, ci siamo sempre disinteressati per natura. Ma ogni parola, a seconda del contesto, ha un peso specifico diverso e a certi discorsi o articoli è doveroso rispondere. Facciamo riferimento a quanto scritto da Matteo Scibilia il 10 giugno u.s.

Innanzitutto non è corretto, a nostro avviso, sostenere che le nuove associazioni nate abbiano fatto disperdere le forze e dividere ulteriormente i professionisti del settore. Volendo dar retta a questo pensiero le novità, specialmente quelle piccole, dovrebbero rimanere chiuse nel cassetto oppure essere elargite a Elefantiaci apparati nella speranza di attenzione e accoglimento? L’Italia si regge sulle microimprese, che con coraggio nascono e ogni giorno, tra mille tribolamenti, vanno avanti. E le micro Associazioni, come quelle di quartiere, non servono forse a scopi specifici?

Pensando in termini di comparto, l’Italia è il Paese con la più grande biodiversità al mondo, dovremmo forse eliminare tutte le varietà più piccole ed avere una sola materia prima? Le piccole produzioni tolgono fette di mercato a quelle più grandi?

È errato, inoltre, affermare che Fipe e Fiepet siano state le uniche a confrontarsi ogni giorno con le strutture governative per cercare di ridurre i danni del lockdown ed è ancora più errato sostenere che le nuove “sigle” - anche su questo termine avremmo molto da discutere - sono nate per “difendersi da norme, decreti antivirus ed economici che non aiutavano il settore”. L’elenco degli errori continua dove si parla di mancanza di dialogo, di rinuncia al particulare, di incapacità rappresentativa.

Il paradosso consiste proprio nel rovesciamento della verità: perché tutto quello che nell’articolo si denuncia essere mancato, in realtà c’è stato; un progetto forte, che ha saputo portare richieste importanti al Governo, come sottolineato proprio da Italia a Tavola in data 25 maggio 2020 (link all’articolo).

Con una visione d'insieme, che mette in primo piano il bene comune anziché gli individualismi è stato consacrato, per la prima volta in Italia, l’avvio del progetto #FareRete, un comparto per il comparto. Nessuno degli oltre 30 presidenti si è autoproclamato leader, riconoscendo gli altri omologhi come colleghi. È forse questo un punto di debolezza? Non ci risulta e quanto alla visibilità beh, se è vero che siamo in guerra, è vero che ognuno sceglie le armi con cui combattere. E noi siamo convinti che per vincere la guerra serva da principio una profonda conoscenza del settore e delle norme che lo regolano, un piano strategico e dettagliato, una visione a lungo termine che non può esaurirsi in una protesta hic et nunc. Nessuna rivoluzione gentile è stata realizzata in 24 ore.

Tutte le azioni di #FareRete a partire dal primo Manifesto, sono documentate e condivise sia internamente con gli Associati di ogni realtà aderente, sia veicolate all’esterno. L’intento non è la ricerca di visibilità fine a se stessa, ma avere quella giusta forza trasversale, aggregando tutto il comparto (ristorazione, addetti di sala, panificazione e pizza, pasticceria, gelateria, accoglienza, etc.) per esprimere concetti chiari, concreti e di buon senso di modo che i media e la politica potessero avviare una riflessione concreta sull’evolversi del settore.

Eppure proprio “l’informazione” che avrebbe potuto tracciare un percorso nuovo, si è astenuta da ogni approfondimento. Nessuna domanda è stata fatta, nessuno ha chiesto chiarimenti o approfondimenti nonostante le nostre comunicazioni coese e precise. Constatiamo che fa più clamore (share, clickbait) il riporto di alcune manifestazione di folklore, anziché dei contenuti o dei motivi che hanno portato alle dichiarazioni fatte e cause perorate.

Non siamo qui ad elencare gli incontri pubblici e privati fatti con il Governo e con le varie forze politiche, la sinergia coltivata con i Presidenti di Regione per superare le criticità innescate dai tavoli chiamati dalla politica, in quanto quello era il fine a breve termine ma non il mezzo per dimostrare (dimostrare cosa? Preferiamo parlare di risultati, anziché fare proclami di intenzioni o prenderci meriti non dimostrabili. Preferiamo non commettere gli errori che contestiamo quotidianamente, non cadere nell’errore di essere complici.). Abbiamo sempre preferito comunicare cose certe, opinioni motivate, fare critiche ma nel contempo proporre, in altre parole collaborare, mettere a disposizione ciò che sappiamo per il bene di tutto il settore che rappresentiamo.

Potremmo continuare citando il piano di azione pluriennale proposto al Governo, alle misure individuate per il green deal e nello specifico dal “Farm to Fork”, centinaia di milioni di euro, nessuna sigla sindacale lo ha fatto, #FareRete si.

Eppure i media non parlano, non approfondiscono, forse perché stiamo combattendo guerre diverse. Per noi, vincere vuol dire restituire a tutti i nostri Associati e a tutto il comparto della ristorazione e dell’accoglienza italiana quella dignità che merita. Una dignità che si manifesta nell’essere rappresentati, interpellati, ascoltati e che fino ad oggi non c’è stata proprio perché “il settore non è coeso e compatto”. Questo è un dato di fatto, è sicuramente un vizio, che però abbiano imparato a conoscere e combattere.

#FareRete è un progetto, un tentativo di realizzare tutto questo, nato dalla voglia di superare quel limite. Ognuno mette quello che può, animati non certo da ritorni personalistici o calcoli di convenienza, ma da un’Idea. Sappiamo che la strada è lunga e tortuosa e non abbiamo certezza della riuscita dell’impresa. Ma secondo quale principio un’idea nuova e dalle enormi potenzialità dovrebbe essere abbandonata perché non si è certi della riuscita?

La nostra battaglia si vince insieme. E lo si fa con i fatti ma anche con le parole. Perché i fatti vanno raccontati, ma in modo leale e veritiero. Ecco quindi che forse, invece che un Prof. Zangrillo dei cuochi servirebbe una penna che scriva i fatti con Coraggio, Competenza, Professionalità, Sfida costruttiva. E se non lo fa la stampa di settore quella che da anni si proclama come il miglior amico dei ristoratori, chi lo dovrebbe fare?


Questa lettera è sottoscritta dalle seguenti realtà: ADG, Associazione Italiana Ambasciatori del Gusto; AIG, Associazione Italiana Gelatieri; AMPI - Accademia Maestri Pasticceri Italiani; APAR, Associazione Provinciale Pasticceri Artigiani Reggini; APCI, Associazione Professionale Cuochi Italiani; APGA, Associazione Pasticceri Gelatieri Artigiani; APN, Associazione Pizzaiuoli Napoletani; APT, Associazione Pizza Tramonti; Associazione Ristoranti Follonica; CHIC, Charming Italian Chef; Cibo di Mezzo; Compagnia dei Gelatieri; Conpait, Confederazione Pasticceri italiani; Conpait Gelato; EPPCI, Eccellenza Professionale Pasticceria Cioccolateria Italiana; Euro-Toques Italia; FIC Federazione Italiana Cuochi; Gelatieri per il Gelato; JRE, Jeunes Restaurateurs Italia; Consorzio La Puglia è Servita; IMPRENDISUD; PQR, Consorzio Parma Quality Restaurants; Richemont Club Italia; Ristoranti del Buongusto; Ristoratori Emilia Romagna; Ri.Un., Ristoratori Uniti; SAC, Ristoratori del Sannio e alto Casertano; Solidus Turismo; Unione Ristoranti del Buon Ricordo.
#FareRete



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