Altro giro di aiuti, sostegni, ristori ma la ristorazione collettiva rimane sempre a mani vuote. L’ultimo decreto legge che ha definito l’utilizzo dello scostamento di bilancio da 32 miliardi di euro, non ha dato risposta alla particolare situazione degli operatori delle mense nel settore pubblico (scuole, ospedali, forze armate) e privato (le aziende).
A rischio 60mila posti di lavoronella collettivaTanto che, in prospettiva, il rischio è che si debba passare attraverso un
taglio senza precedenti di 60mila lavoratori su un totale di circa 250mila (con una maggioranza di donne). Per capire l’entità del
danno possibile, basti pensare che la crisi dell’ex-Ilva di Taranto mette a rischio “solo” 5mila lavoratori mentre il rilancio di Alitalia dovrebbe passare per circa 2.500 esuberi.
Le prospettive di ripresa non sono incoraggianti
Questo lo scenario presentato da Anir-Confindustria durante la conferenza nella sede della Camera dei Deputati e delicata alla situazione particolare in cui si trova la ristorazione collettiva: «Il nostro è l’unico settore che, nel momento in cui si ritornerà a una certa soglia di normalità, è già sicuro di perdere parte della propria clientela per gli effetti indiretti della pandemia; come lo smart working, per esempio», ha esordito Massimialiano Fabbro, presidente di Anir (Associazione nazionale imprese della ristorazione).
Grandi fatturati, ma bassa marginalità
Una situazione che, secondo i vertici dell’associazione di categoria, è ancora poco chiara alla politica. «Siamo un settore composto da aziende di varia natura che operano sia sul territorio nazionale che all’estero occupandoci di servizi di pubblica utilità. Dall’artigiano all’azienda partecipata, passando per imprese multinazionali, la ristorazione collettiva muove un giro d’affari di circa 6 miliardi di euro», ha ricordato Fabbro. Fatturati molto elevati che, tuttavia, devono fare il conto con bassissime marginalità. A pesare su questo aspetto sono, prima di tutto, il costo del lavoro (che può arrivare a toccare anche il 50% del fatturato di un’azienda) e le economie di scala che permettono di guadagnare sui grandi numeri a fronte di pasti completi a prezzi contenuti (intorno ai 5-6 euro). All’azienda, resta ben poco.
Sostegni, aiuti e codici Ateco? «A noi servono misure strutturali»
D’altra parte, proprio i grandi numeri di fatturato impediscono al settore sia di accedere ai ristori (validi per aziende con fino a un massimo di 10 milioni di euro) sia di poter apprezzare uno strumento simile per tenere a galla il settore. «Concordiamo, in linea di principio, l’eliminazione al riferimento dei codici Ateco per la concessione degli aiuti a fondo perduto, ma a noi tutto ciò non interessa molto. Abbiamo bisogno di misure strutturali. Noi non siamo la ristorazione tradizionale, quella a gestione famigliare per intenderci», ha precisato Fabbro. Interventi che dovranno essere coordinati attraverso un doppio tavolo di lavoro, sia a livello parlamentare che governativo.
Massimiliano Fabbro
Necessario velocizzare le rinegoziazioni
Primo punto su cui fare chiarezza sono le rinegoziazioni degli appalti. Come ha riconosciuto Anac (l’authority anti-corruzione), c’è la necessità di rivedere i contratti che legano le aziende alla pubblica amministrazione stante le mutate condizioni di servizio (leggi: più costi a livello di sicurezza, modalità di distribuzione dei pasti, ecc.) e la costante disponibilità delle aziende della collettiva a garantire il servizio offerto, anche in situazioni di estrema difficoltà e incertezza. Ma per rendere concreto questo parere, la politica deve intervenire con una delibera che sblocchi i fondi nei capitoli di spesa delle amministrazioni locali così da rendere sostenibile l’operatività delle aziende.
Prestiti sì, ma sono sempre un debito
In secondo luogo, un ripensamento dei prestiti Sace. «Per continuare a operare, le nostre aziende hanno dovuto fare dei debiti. Purtroppo, però, se da un lato il debito buono è andato a sostenere dipendenti e fornitori, dall’altro lato l’esposizione dell’azienda diventa negativa nel momento in cui questi fondi andranno ripagati con i relativi interessi. Il rischio è che in questo modo si mettano in difficoltà i bilanci e si stoppino gli investimenti sulla filiera», ha affermato il vicepresidente di Anir, Sebastiano Ladisa. Le imprese della collettiva, infatti, sono già gravate da perdite nell’ordine dei 200-250 milioni di euro a causa di un 2020 negativo.
Nel 2020 le imprese del settore hanno perso 200-250 milioni di euro
Ripensare lo smart working?
Terzo punto all’ordine del giorno è la discussione sullo smart working. La modalità di lavoro agile, che nelle intenzioni dell’attuale Governo dovrebbe essere favorita negli uffici della Pubblica Amministrazione, rischia di tagliare un intero comparto della collettiva lasciando poche briciole alle imprese impegnate nel rifornire le aziende. «Noi crediamo che se la pubblica amministrazione è visto come motore di rilancio dell’economia del Paese, allora si deve porre maggiore attenzione nei confronti di quella filiera agroalimentare che in oltre 50 anni di esistenza ha sempre svolto un servizio pubblica utilità», ha concluso Fabbro.
Quasi 160mila bambini lasciati senza l'unico pasto sano della giornata
Infine, la questione “sociale” della ristorazione collettiva. Come ha sottolineato Save The Children, tantissimi bambini privati del momento di refezione scolastica hanno dovuto fare a meno dell’unico pasto sano della propria giornata. La stima è di 160mila alunni privati della corretta alimentazione. Un dato che rivela il valore nutrizionale insostituibile del comparto delle mense scolastiche. «Questo dovrebbe portare le istituzioni a tutelare uno dei settori più colpiti dalla pandemia, un comparto che non chiede indennizzi, ma un intervento strutturale per via degli stravolgimenti che ne cambieranno per sempre il volto», ha commentato Fabbro.