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«Il mio incubo nella ristorazione: da cameriera sfruttata a donna libera»

“Anna”, ex cameriera, denuncia lo sfruttamento nel mondo della ristorazione. Dopo anni di lavoro mal pagato e difficili esperienze a Roma e Firenze, ha deciso di cambiare vita. Durante il Covid si è formata come tatuatrice e ora, dopo molti sacrifici, è pronta ad aprire il suo studio, incoraggiando i giovani a rivendicare i propri diritti

di Luca Bassi
20 agosto 2024 | 05:00
«Il mio incubo nella ristorazione: da cameriera sfruttata a donna libera»
«Il mio incubo nella ristorazione: da cameriera sfruttata a donna libera»

«Il mio incubo nella ristorazione: da cameriera sfruttata a donna libera»

“Anna”, ex cameriera, denuncia lo sfruttamento nel mondo della ristorazione. Dopo anni di lavoro mal pagato e difficili esperienze a Roma e Firenze, ha deciso di cambiare vita. Durante il Covid si è formata come tatuatrice e ora, dopo molti sacrifici, è pronta ad aprire il suo studio, incoraggiando i giovani a rivendicare i propri diritti

di Luca Bassi
20 agosto 2024 | 05:00

«Perché ho smesso di fare la cameriera? Semplicemente, ero stanca di essere sfruttata. La sera andavo a dormire distrutta e a fine mese, quando contavo i guadagni, mi mettevo le mani nei capelli». È una denuncia senza esclusione di colpi quella che Anna (nome di fantasia che abbiamo scelto per ragioni di tutela) ci consegna. Sebbene si tratti di un caso estremo che non rappresenta l'intera realtà del comparto, è comunque un segnale di un disagio crescente che, in situazioni limite come questa, emerge in modo evidente.

«Il mio incubo nella ristorazione: da cameriera sfruttata a donna libera»

Sfruttamento nella ristorazione: la storia di Anna

Ma conosciamo meglio la nostra protagonista. Anna ha 34 anni, si è diplomata nel 2009 in una scuola alberghiera di Roma e dal luglio di quell'anno ha iniziato a lavorare come cameriera: «Ero sicura che sarebbe stato il lavoro della mia vita, quello per cui avrei fatto tutti i sacrifici di questo mondo - ci spiega. E all'inizio non mi potevo nemmeno lamentare: con esperienza pari a zero ho subito trovato un ristorante della Capitale che mi ha assunta prima in prova e poi con contratto a tempo indeterminato. Lavoravo sei giorni a settimana, dalle 11 alle 15 e dalle 18 alle 23; riposavo il lunedì, nel giorno di chiusura. La prima paga non era granché, circa 1.100 euro al mese che divisi sulle ore lavorate significano 6 euro netti all'ora. Ma ero felice: avevo meno di 20 anni, vivevo con mia madre, stavo facendo esperienza e stavo trovando l'indipendenza economica per la prima volta in vita mia».

Anna e il passaggio al fine dining

Per quasi tre anni Anna lavora in questo locale di Roma, poi decide di cambiare insegna «per fare un passo in avanti e mettermi alla prova in un ristorante che offriva esperienze di fine dining - sottolinea. La paga? Quella no, non è stata un passo in avanti perché mi hanno offerta una cifra fissa più bassa - mille euro netti - e una parte variabile in base alle ore extra che avrei fatto che mi sarebbe stata riconosciuta fuori busta, in nero per essere più espliciti. Quella variabile mediamente era di circa 200-250 euro al mese. Perché ho accettato? Anch'io sapevo che non era corretto, che alla lunga ci avrei perso in fatto di contributi, tredicesima. Ma, come ho detto, professionalmente sentivo di fare un passo importante per la mia carriera e mi sono buttata, nonostante sapessi in cuor mio che non era tutto rose e fiori».

«Il mio incubo nella ristorazione: da cameriera sfruttata a donna libera»

Fine dining: la storia di sfruttamento di Anna

Nel nuovo ristorante, però, le cose non vanno come Anna si aspettava: «Il personale di sala era poco considerato, eravamo in pochi e ogni servizio era una via crucis vera e propria - spiega. A volte si finiva di lavorare all'una di notte, tornavo a casa distrutta. E quando a fine mese contavo i guadagni, mi mettevo le mani nei capelli».

Una nuova esperienza a Firenze per Anna

Nel 2014 la chiamata di una ex compagna di classe porta Anna a Firenze, in un nuovo ristorante. Anche questo fine dining. Anna ora ha 24 anni: «Ero sicura che lasciare Roma fosse la cosa giusta in quel momento - racconta -, così ho deciso di accettare. Anche in questo caso la paga fissa era piuttosto bassa ma con gli extra (anche stavolta "fuori busta") potevo guadagnare qualcosa in più. Le cose non sono andate male finché non ho rifiutato le avances del figlio del titolare del ristorante, colui che si occupava della gestione del personale: da quel momento, senza preavviso, niente più extra. Lavoravo tre ore a pranzo e tre ore la sera, per sei giorni a settimana. Ma è chiaro che con mille euro netti, un affitto da pagare e delle spesa extra a Firenze non puoi vivere. Così, dopo un paio di mesi, mi sono licenziata».

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Anna e le prove a 4 euro l'ora

«Il baratro lavorativo, però, è iniziato nel 2016: sono diventata mamma, ho iniziato a cercare lavoro sempre a Firenze e ho ricevuto le proposte più assurde - spiega. La peggiore? Forse quel ristorante che mi offriva una settimana di prova pagata 4 euro all'ora. Ho chiesto come potessi permettermi di lavorare per quella cifra e mi è stato risposto che, essendo una prova, dovevo ringraziare per quello che mi offrivano, che se non mi stava bene quella era la porta perché tanto io sarei stata una persona in più in sala e loro stavano già bene così. Poi ho iniziato a lavorare per il catering di un importante gruppo toscano: nel periodo di alta stagione dei matrimoni si toccavano le 12 ore di lavoro al giorno per 6,50 euro l'ora. Ho portato avanti questa esperienza per poco più di due anni più per necessità che per scelta, poi un giorno mi sono guardata allo specchio e mi sono vista stanca, delusa, senza prospettive. E ho deciso di dire basta».

Oggi Anna è una tatuatrice

«Con l'arrivo del Covid e con le chiusure del 2020 ho cercato nuove strade: con l'aiuto del mio compagno e con enormi sforzi economici mi sono rimessa a studiare e oggi sono una tatuatrice diplomata; tra poco, dopo quasi quattro anni di esperienza, aprirò il mio primo studio in provincia di Firenze - ci racconta sorridente. So che non sarà facile ma ogni sacrificio che farò, sarà per me, per la mia famiglia e per la mia attività. Perché ho deciso di raccontare la mia storia? Perché mi auguro che tanti altri ragazzi e tante altre ragazze possano alzare la testa e dire basta allo sfruttamento che nel mondo della ristorazione è quasi all'ordine del giorno, in sala come in cucina: se continuiamo a stare zitti, lo sfruttamento va avanti. Le persone e i giovani soprattutto devono iniziare a far valere i propri diritti».

© Riproduzione riservata STAMPA

 
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28/08/2024 18:17:05
1) LA VERITA' SACROSANTA ANCORA ATTUALE
comprendo "ANNA" perchè prima di Lei ci sono passato io, sia in Italia che all'estero, non sono solo gli imprenditori italiani che operano con queste modalità, e non sono solo nella ristorazione ma in tutto il settore turistico. la dimostrazione che oggi non ci sono più persone interessate a svolgere detta professione, la motivazione semplice è ORARI DI LAVORO E STIPENDIO. (In un passaggio si è scordata anche della 14.ma, fors'anche non la mai percepita e qui la dice lunga). Condivido al 100% la sua scelta e le auguro un successo gratificante e pieno di soddisfazioni. IVAR
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