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Olio evo, il Governo vara un tavolo di filiera per nuove strategie di mercato

Ad annunciarlo il sottosegretario al Masaf La Pietra durante l'evento “Evo in Siena”, dove sono emerse riflessioni e prospettive per la valorizzazione delle produzioni Dop e Igp

 
10 dicembre 2024 | 15:57

Olio evo, il Governo vara un tavolo di filiera per nuove strategie di mercato

Ad annunciarlo il sottosegretario al Masaf La Pietra durante l'evento “Evo in Siena”, dove sono emerse riflessioni e prospettive per la valorizzazione delle produzioni Dop e Igp

10 dicembre 2024 | 15:57
 

Secondo le stime Ismea, la campagna oleicola 2024 vede la produzione italiana in leggero calo, con il Sud che perde terreno mentre le regioni del Centro-Nord mantengono i livelli del 2023 e in qualche caso aumentano. In uno scenario internazionale che vede cambiare la geografia di mercato dell'olio d'oliva - il 3,8% degli olii vegetali prodotti nel mondo - con paesi in forte ascesa come Turchia e Tunisia, l'Italia è dunque chiamata a fare un ragionamento sulle strategie che sembra orientato verso l'affermazione di una qualità unica e superiore. Per dare un indirizzo strategico nell'approccio italiano al mercato dell'olio, il Governo ha deciso di varare ufficialmente un Tavolo della filiera olivicola, come ha annunciato da Siena il sottosegretario al Masaf, Patrizio Giacomo La Pietra.

Olio evo, il Governo vara un tavolo di filiera per nuove strategie di mercato

Olio evo, il Governo vara un tavolo strategico di filiera

«C'erano diversi tavoli tecnici, ma non un tavolo politico per la filiera - ha specificato intervenendo alla prima edizione dell'evento “Evo in Siena” promosso da Confagricoltura Siena - e il compito di questo soggetto di filiera sarà di presentare una proposta di Piano olivicolo nazionale 2025-2030. A partire dalla valorizzazione del prodotto, accompagnando una crescita di consapevolezza da parte del consumatore, perché altrimenti finiamo per non utilizzare i fondi disponibili e lasciamo agli spagnoli la promozione del loro olio. Serve invece un ragionamento di squadra e interprofessionale». Un approccio condiviso in apertura da Gianluca Cavicchioli, direttore di Confagricoltura Siena.

Olio evo: qualità del consumo e del territorio

La non conoscenza, infatti, è alla base di scelte incomprensibili per chi nasce su una penisola benedetta da 540 cultivar, come l'acquisto di olio d'oliva raffinato (senza capire la differenza con l'extra vergine) o prodotti a 6,30 euro sullo scaffale. «Si tratta di trovare il modo per evidenziare l'eccellenza e far conoscere la qualità - rimarca La Pietra - e d'altro canto vanno sostenuti i produttori che a loro volta devono essere i primi a valorizzare i cultivar italiani, senza pregiudiziali rispetto a colture intensive o micro-aziendali». Il sottosegretario ha inoltre rilanciato sul tema oliveti abbandonati, «perché se è comprensibile che non rendano economicamente - dice - bisogna capire che le piante sono un valore per l'ambiente e per il territorio. Si tratta di recuperare risorse, anche drenando tra i fondi europei, per dare un supporto a produzioni di nicchia, ma soprattutto alla tutela del territorio».

Una prospettiva sulla quale si trova allineata anche la vicepresidente della Regione Toscana, Stefania Saccardi, per la quale «l'evo in Toscana è un prodotto identitario che significa qualità, ma anche biodiversità». Il paradosso è che i mercati, soprattutto quelli internazionali, potrebbero assorbire quantitativi maggiori di olio di alta qualità, ma per questo «se domani un giovane imprenditore decide di fare un'oliveta con cultivar toscani rappresenta un valore da sostenere e mantenere - dice Saccardi - però se da un lato manca la manodopera, dall'altro è la bassa resa che scoraggia. Vanno sostenute le aggregazioni e le cooperative». Intanto, la Regione si è mossa con un bando per i frantoi aziendali (con fondi Pnrrr) e i fondi potrebbero moltiplicarsi, anche perché «diversamente dal vino, non suscita dubbi e anche in Europa risulta comprensibile la valenza nutraceutica».

Olio evo, il Governo vara un tavolo di filiera per nuove strategie di mercato

L'evento “Evo in Siena” promosso da Confagricoltura Siena

«La nostra sfida non è la mancanza di risorse, ma di conoscenza - rimarca Luca Toschi dell'Università di Firenze. Non abbiamo una strategia comunicativa univoca in grado di valorizzare l'identità straordinaria dell'olio. Serve connettere il valore immateriale e simbolico di questo prodotto con quello fisico e materiale. L'olio deve essere un paradigma, un sistema». «Bisogna cominciare a dire che chi fa l'olio è figo» ha dichiarato solennemente Gennaro Giliberti del settore Agricoltura della Regione Toscana, ma prima ci sono in Italia sensibili debolezze da recuperare: lo scarso ricambio generazionale, un approccio limitatamente imprenditoriale e una forte frammentazione, alti costi di produzione, per non parlare della lotta alle fitopatie. «Si deve spiegare ai buyer perché dovrebbero spendere 25/30 euro per un chilo di olio di oliva toscano - chiosa Giliberti - perché si deve saper distinguere prezzo da valore».

Olio evo: investimenti e formazione

Nel frattempo, la riflessione muove dai numeri. Per gli osservatori del mercato, preoccupa la grande crescita di produzione in Turchia e Tunisia. E se il 73% della produzione mondiale è in mano a cinque Paesi, l'Italia è “solo” quinta. Si tratta però di capire se si vuole posizionarsi per qualità e quantità. Rimane indubbia la necessità di investire su formazione e innovazione, stimolando anche risorse dall'estero, per avere un prodotto di qualità. Il lavoro importante di formazione e informazione da compiere sul fronte olio italiano extravergine di oliva non tocca però solo il consumatore, ma troppo spesso la ristorazione - quella popolare, ma anche il fine dining - non rivolge all'olio attenzioni adeguate. “Molti servono olio senza identità” - si è detto a Siena - e la testimonianza portata da Pietro Ciccotti di Excellence Events sembra ineluttabile. «L'olio è uno dei prodotti più difficili da comunicare - osserva il manager - non per nulla quando organizziamo gli eventi di Excellence è semplice far fermare buyer e chef (anche stellati) agli stand del vino, della pasta, dei tartufi… eppure quasi nessuno si ferma ai tavoli dell'olio».

Olio evo: consumatori (e chef) oltre la commodity

Quale dovrebbe essere allora il piano per divaricare il mercato della commodity dall'eccellenza oleicola made in Italy? Secondo Giliberti non basta ragionare “farm to fork”, ma si deve lavorarebefore farm e beyond fork”. Serve la ricerca agronomica, per capire quali cultivar siano le migliori da piantare e in quali aree vocate. «Dobbiamo inventare un Ocm olio che preveda una riconversione degli oliveti» suggerisce guardando al sistema di sostegno alla vitivinicoltura. Tutto questo non per dare un contentino ai poveri olivicoltori, ma perché «gli oliveti sono elementi determinanti e caratterizzanti del paesaggio - proclama il dirigente regionale - per cui ogni oliveto abbandonato è una ferita al territorio. Dovremmo immaginare che una parte della tassa di soggiorno a Monteriggioni debba essere stanziata per supportare l'agricoltore che mantiene gli olivi intorno al borgo, che altrimenti non avrebbe a disposizione tutta quella bellezza».

Olio evo, il Governo vara un tavolo di filiera per nuove strategie di mercato

Olio evo: un bene prezioso da proteggere e promuovere

Aleandro Ottanelli dell'Università di Firenze sottolinea come oggi stia cambiando la percezione dell'extravergine su scala internazionale. «Noi siamo un Paese produttore e spesso non c'è una consapevolezza chiara di quanto costi l'olio - precisa - ma nel resto del mondo i prezzi stanno correndo e questo sarà sempre meno un problema, purché ci sia la qualità». E nonostante la progressiva selezione delle piante - su 40 milioni di piante d'olivo prodotte nel mondo ogni anno, oltre la metà è coperta da nuove varietà resistenti agli attacchi patogeni - e l'evoluzione verso una genetica più omogenea, l'Italia rimane la patria dei piccoli cultivar autoctoni e poi la vera differenza la fanno terreno e clima, con escursioni termiche e freddi che in altre regioni non esistono. In questo contesto si colloca l'importante focus sulle certificazioni di qualità e sostenibilità, a partire Dop e Igp. I marchi oggi sono assai poco evidenti in etichetta, ma soprattutto non sono conosciuti dal pubblico dei consumatori in Italia (cosa assai grave) e relativamente all'estero. Ecco perché formazione e comunicazione devono essere il perno di ogni strategia di valorizzazione dell'olio evo italiano, trasformando - per dirla con Giliberti - i consumatori in consumaTTori.

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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