Venerdì 17 gennaio si celebra in tutto il mondo il World Pizza Day, la giornata internazionale della pizza. Ma perché la celebrazione cade proprio in questo giorno? Semplicemente perché nello stesso giorno si festeggia Sant'Antonio Abate, antico patrono dei fornai e adesso anche dei pizzaioli. Sorta di abbinata vincente: lo stesso patrono per due derivazioni del grano, per due cibi che nella loro indomita frugalità, sfamano, saziano e rasserenano l'uomo da sempre.
Sant'Antonio Abate, simpatico di suo con la fluente barba e con il suo maialino che lo segue dappertutto, primo monaco della storia in quanto fondatore del monachesimo cristiano, rubò il fuoco al diavolo per farne dono all'uomo. Per questo duplice motivo, viene tradizionalmente festeggiato con l'accensione di grandi falò e con scorpacciate di maiale.
Virgilio, Enea e l'invenzione della pizza
La pizza: coesione armonica tra un disco edibile ed un topping i cui costituenti hanno come limite la sola fantasia del pizzaiolo (e, ex-post, il gradimento del “mangiatore di pizza”). La pizza: una delle poche parole della lingua italiana che tale permane, non risultano tentativi di traduzione, ovunque nel mondo. E sì che se ne sfornano, e quante (!) di pizze nel mondo. Disco edibile, si è detto, e quindi, in origine innanzitutto un recipiente, un piatto. Piatto, nella lingua dei nostri Padri, si diceva “mensa”.

Enea e “l'invenzione” della pizza raccontata nell'Eneide
Nell'Eneide, Virgilio narra l'episodio in cui il giovane Enea, preso dalla fame, si mangiò anche la propria mensa, il piatto. Non risulta che Enea fosse solito cibarsi di ceramiche; quindi era il suo piatto, la sua mensa, commestibile: il piatto su cui appoggiava il cibo era infatti un composto di farina e acqua, che dopo il pasto sarebbe stato gettato via, evidentemente non era in voga il concetto del riuso. Enea mangiò la prima pizza del mondo e pertanto dovremmo ricordarlo (ed essergli grato!) non solo perché pose le basi per la fondazione di Roma (e di conseguenza del nostro Paese), ma anche per aver inventato, a sua insaputa, la pizza.
Le pizzerie e i topping (tra cui il pomodoro "americano")
La pizzeria, quella di una volta: forno a legna bene in vista, il banco per “ammaccare” e guarnire, l'affiatato duo pizzaiuolo (con la u) propriamente detto e il fornaio (chi allestisce il prodotto e chi lo cuoce). Una notazione: nelle pizzerie napoletane autentiche, facciamoci caso, il forno e il banco di lavoro sono al centro del locale, come un altare dove due officianti adempiono a perenne liturgia. E il pizzaiuolo non lavora dando le spalle agli avventori, se ciò accadesse, sarebbe vissuto da tutti come uno sgarbo.
E quanta strada si è fatta! Gli ingredienti del topping (e della farcia) una volta melanconicamente intesi commodities hanno disvelato le loro origini. Filino d'olio. Sì, ma quale olio? L'olio evo Dop, bene. E poi, questo olio qui per queste pizze e quest'altro qui per queste altre pizze. Molto bene. L'oro rosso? Il pomodoro. Sì, ma quale pomodoro: essiccato, fresco, in salsa, passato, pelato, sfilettato, spezzettato. E quali pomodori? San Marzano Dop, Pomodoro del Piennolo del Vesuvio Dop, ed altri ancora. Un attimo! Il pomodoro, si è detto. Ma il pomodoro è frutto migrante giunto dalle Americhe. Senza Cristoforo Colombo, la pizza sarebbe ancora quella schiacciata bianca che Enea mangiò invece di considerarla sono come mensa, come recipiente.

La pizza, un piatto semplice ma ricco di storia, cultura e passione
Ci siamo: la prevalenza del certificato di adozione sul certificato di nascita. Il pomodoro è nato nelle Americhe, ma siamo stati noi mediterranei ad adottarlo. E però, doverosità di cronaca ci impone di notiziare che non ovunque gli ingredienti sono rintracciabili e sono manifestamente made in Italy. Purtroppo, ancora tante le Doi. Ma che cosa sono? Lo diciamo mestamente. Doi è acronimo (inventato) che sta per "Denominazione di origine ignota". E allora... mozzarella lituana, concentrato di pomodoro cinese, olio tunisino, farina da grano ungherese. Raccapriccia, ma talvolta è ancora così.
Il consumo e i prezzi della pizza, uno storico ammortizzatore sociale
Nei secoli addietro la pizza fu un formidabile ammortizzatore sociale. A Napoli la pizza saziava la fame secolare di un popolo atavicamente affamato. Spettacolare la definizione che della pizza diede Matilde Serao: «Il pronto soccorso dello stomaco». Nel secolo corrente la pizza è cibo gourmet e i pizzaiuoli sono considerati alla stregua degli chef. La loro arte (e non il prodotto “pizza”) nel dicembre 2017 fu proclamata dall'Unesco "Patrimonio dell'Umanità". Un riconoscimento doveroso per come grazie a quest'arte ne è sortito un capolavoro che tiene insieme la bontà e la sobrietà.
Quanta armonia in una pizza ben fatta. Pensiamoci: né troppo asciutta ma neanche troppo umida, né troppo cotta ma neanche quasi cruda, né troppo topping ma neanche “troppo poco”. Armonia anche nell'esaltazione di fragranza, odore e sapore. E le sue dimensioni: a ruota di carro, a soddisfare appetiti robusti, a canotto per palati più delicati. La pizza è cibo planetario e unanimemente si considera che sia Napoli la sua capitale. E però, a Napoli le pizzerie sono circa 1.400, mentre a Roma sono circa dieci volte di più, quasi 15mila. E Milano ne conta circa 10mila, e a Milano si trova la pizza margherita più costosa d'Italia. Di contro, troviamo Bari, dove residenti e turisti possono gustare una pizza Margherita di alta qualità per soli 5,70 euro in media.

World Pizza Day: numeri da record e curiosità sul cibo più amato al mondo
I più grandi mangiatori di pizze sono gli statunitensi: 13kg circa il consumo pro-capite. In Europa siamo noi italiani a guidare la classifica, con quasi otto chili annui. Seguono gli spagnoli, i francesi, i tedeschi, i britannici, i belgi e i portoghesi. Ultimi in Europa per consumo pro-capite gli austriaci, con poco più di 3 chili annui.
Il business della pizza nel mondo e in Italia
Il business mondiale della pizza è sconvolgente, parliamo (anno 2024) di circa 160 miliardi di euro. In Italia, l'occupazione nel comparto riguarda più di 100mila lavoratori a tempo pieno, cifra che sale a 200mila durante i fine settimana. La pizza genera un fatturato che ha oltrepassato i 15 miliardi di euro, come sottolineato dalla Coldiretti. Ogni anno in Italia, vengono prodotte 2,7 miliardi di pizze, il che implica un consumo annuo di 200 milioni di chili di farina, 225 milioni di chili di mozzarella, 30 milioni di chili di olio d'oliva e 260 milioni di chili di salsa di pomodoro.
Da Enea ai nostri giorni. E il viaggio continua e forse mai finirà, perché, come ben sappiamo, andrà lontano chi viene da lontano.