L’idea di esotico ha sempre avuto bisogno di distanza. Per Ciccio Sultano, invece, la distanza abita il quotidiano. La Sicilia è il suo Oriente, non per folklore, ma per stratificazione. «Il cliente che viene da noi, da tutto il mondo, vede la verità» dice. «La verità è la bellezza, l’essere moderni in un contesto di grande spessore. Siamo in un palazzo del Settecento, in un villaggio che è una bomboniera, e questo chiude un cerchio. Vieni per Ciccio Sultano, ma ti godi anche il posto dove sei». Quella verità coincide con la concretezza della materia, con il grano, l’olio, il pesce, gli agrumi. Sultano non costruisce un altrove, lo custodisce dentro il suo Sud.

Il benvenuto del Duomo di Ciccio Sultano
L’esotico domestico di Ciccio Sultano: la verità del Sud come misura del mondo
«Per noi che la viviamo quotidianamente è normale, ma la cucina del Sud Italia e quella giapponese sono oggi le più esotiche al mondo». L’esotico non è più una direzione geografica, è un modo di guardare. Sta nel gesto di chi riconosce una cultura che ha attraversato secoli e dominazioni, che si è nutrita di scambi, di invasioni e di ritorni.

Ciccio Sultano
Ogni ingrediente porta un accento e un ricordo, un’origine che diventa voce comune. Nel pensiero di Sultano la modernità si misura nella capacità di custodire quella densità di storia, di renderla presente. Il Duomo di Ragusa è una frontiera culturale che racconta la bellezza come equilibrio tra permanenza e metamorfosi.
La Sicilia come continente morale, dove la storia continua a generare civiltà
La Sicilia non finisce mai, allunga le sue coste come se volesse ricordare al mare da dove è partita. «La Sicilia è grande venticinquemila chilometri quadrati. Siamo un continente» dice Ciccio Sultano. E in quella misura c’è la consapevolezza di un’isola che non ha bisogno di specchiarsi altrove. «Siamo internazionali per vocazione, non perché la gente arriva dall’estero. Noi già lo siamo».

Fragole e Avocado con vino di Benvenuto al Duomo
Il tempo ha stratificato civiltà diverse, ognuna ha lasciato un frammento di linguaggio, un seme, un’abitudine. Fenici, arabi, normanni, spagnoli, greci, romani: la loro eredità resta nelle mani di chi cucina e nel modo in cui la terra restituisce profumi. La cucina del Duomo attraversa queste epoche come una mappa viva, il Mediterraneo entra nei piatti come entrava nei porti, con la stessa naturalezza.

Chef Ciccio Sultano col Restaurant Manager Riccardo Andreoli
Sultano parla della storia come di una materia ancora in movimento, una storia che continua a impastare popoli, spezie, dialetti, saperi. La tavola diventa un crocevia di lingue che si capiscono per istinto, una geografia di sapori che accumula. Dentro un sugo c’è una genealogia, dentro un profumo d’agrumi un intero scambio commerciale, dentro un’idea di mare la memoria di chi è partito e poi tornato. L’isola che lui racconta si espande, respira e ingloba. È un continente perché contiene la varietà di un mondo intero.

Ciccio Sultano e la sua brigata al lavoro
La fiducia nella materia come forma di cultura e l’estetica del pieno
Ciccio Sultano costruisce la sua cucina come un atto di fiducia nella materia. «Siamo nella modalità del mettere» dice, «perché levare significa mancare di fede all’essere siciliano, ai tremila anni di storia, alla cultura, all’abbondanza paesaggistica e monumentale».

Il Duomo propone assaggi sfiziosi di benvenuto
La sua idea nasce da una convinzione che appartiene all’isola e alla sua lunga genealogia di popoli. Mettere equivale ad aggiungere vita, a custodire ciò che la terra consegna. L’olio, il sale e il grano formano il suo marchio, «i tre elementi che dalla Mesopotamia a oggi hanno fatto grande l’economia e la cucina». Dentro questa triade si compone la visione del Duomo, dove la materia trova spazio e significato.

Olio, Sale e Grano
Il grano racconta la continuità agricola, l’olio tiene insieme il gesto del lavoro e la luce delle colline, il sale unisce la terra al mare e sigilla l’identità di un Sud che riconosce sé stesso nella generosità. L’idea del pieno nasce da una forma di fedeltà, la stessa che attraversa la storia siciliana e arriva alla tavola attraverso mani che conoscono la fatica e la misura.

Pesce t'Amo di Ciccio Sultano
«La cucina aristocratica entra nelle case quotidiane delle famiglie normali» ricorda Sultano, «due generazioni prima erano contadini con le braccia più lunghe del solito perché hanno zappato una vita e sono riusciti a far laureare i loro figli». L’estetica del pieno appartiene a questa memoria, una geografia morale che trova forma nella materia e riconosce valore all’abbondanza come linguaggio. Dentro la sala del palazzo di Ibla la cucina respira come un polmone, raccoglie gesti, restituisce passato, costruisce il futuro con la calma di chi considera il gusto un modo per dare ordine alla storia.
Il mestiere come struttura del pensiero: la cucina che tiene insieme impresa ed etica
«Chi apre un ristorante deve innanzitutto sapere a chi parla e quanto può spendere» dice Sultano. «Serve un piano aziendale», perché l’impresa prende forma con numeri, fornitori, turni e responsabilità. Deve esserci una struttura che regge la tavola e che richiede calcolo e misura, stipendi che arrivano con regolarità, formazione del personale, scorte che valgono come capitale immobilizzato; macchine, estrattore e centrifuga, frullatori, teglie grandi e teglie piccole, coltelli e affilature: una dote che pesa su bilanci reali e su scelte che definiscono il menù e la capienza della sala.

La sala del Duomo di Ragusa
«Per tre mesi non incasserai nulla e dovrai pagare il personale». Perché alla fine il lavoro si fonda su una relazione precisa con chi siede al tavolo e con chi lavora dietro le quinte. La cucina vive dentro un’economia che richiede disciplina, controllo dei costi, attenzione alla filiera, capacità di scegliere materie che mantengono qualità e senso in rapporto al prezzo, senza scorciatoie, senza scoramenti, con l’idea che la misura del piatto coincida con la sostenibilità dell’impresa.

Spaghetti al Tartufo
La critica per Sultano serve come strumento di racconto: «la stampa è un mezzo fondamentale», ma la verità dell’attività passa dal saldo a fine mese e dal ritorno dell’ospite, dall’equilibrio tra carta dei vini e margini, tra durata della cottura e durata del servizio, tra attrezzature e competenze che le giustificano, tra orari di apertura e domanda reale; una scacchiera che richiede lucidità e pazienza, un’idea di mestiere che appartiene alla cultura materiale del Sud e che nel Duomo assume la forma di un patto: chi cucina si assume il peso dell’opera e lo condivide con chi lavora, chi entra in sala riceve non un esercizio di stile ma la prova che il gusto sostiene il lavoro e il lavoro sostiene la cultura.

Sgombro, Omega 3
Capire il Sud per leggere l’universo: un continente che pensa attraverso la materia
«Io vengo da una terra che ha visto passare tutto» dice Ciccio Sultano. «Chi arriva da fuori sente ancora la voce delle civiltà che ci hanno attraversati». La Sicilia che si riflette nei piatti del Duomo appartiene alla mente. L’isola diventa una chiave per leggere la complessità, un punto in cui si concentrano i segni dell’Europa e del Mediterraneo, le rotte dei commerci, le parole delle religioni, la forma stessa del tempo. Nel pensiero di Sultano il Sud non è margine, ma principio di ordine: un modo di stare nel mondo attraverso la materia.

Spaghetti Taratata
L’esotico si dissolve nella consuetudine, la povertà si traduce in linguaggio, la storia entra nel presente con la naturalezza di un gesto compiuto molte volte. La cucina riunisce questi frammenti e li fa convivere. Le stoviglie portano con sé la misura artigiana del luogo, i vini si muovono tra province e isole, la carne racconta la geologia dell’entroterra, il pesce restituisce la luce dei porti. Tutto si dispone come una carta vivente del Sud, un atlante che non ha confini e che riconosce in sé la continuità delle culture.

Cappuccio Primavera
La lingua del cuoco come forma di libertà: la cultura che si costruisce con le mani e dà ordine al mondo
«La cultura serve a dare peso alla libertà» dice Ciccio Sultano. «Serve a far capire da dove vieni». La cucina diventa una lingua che nasce dal lavoro e trova significato nella materia. La tavola diventa il luogo dove il sapere si trasmette attraverso la concretezza del gesto. In quella lingua convivono la memoria e la trasformazione, la storia e la quotidianità, la mente e le mani.

Vini del territorio accompagnano prelibatezze al Duomo
Il pensiero di Sultano si muove dentro questa sintassi fatta di proporzioni, di misure, di tempi, e restituisce alla cucina il ruolo di un sapere che si costruisce attraverso la vita reale. Il cuoco agisce come interprete del suo tempo, decifra la realtà con strumenti che appartengono alla tradizione artigiana e li riporta a una dimensione di cultura. Nel palazzo di Ibla la cucina assume la densità di un laboratorio civile, dove la conoscenza nasce dal lavoro e la libertà coincide con la responsabilità del fare. La lingua di Sultano vive in questo spazio di equilibrio, dove la tecnica non prevale sul pensiero e la bellezza non si allontana dalla verità. La cucina parla con chiarezza e riconosce valore a ciò che esiste. Ragusa si fa centro di questa idea del mondo, un luogo in cui la mente e la materia si rispondono, dove il gusto diventa strumento di conoscenza e la civiltà trova continuità nella forma del lavoro.
Via Capitano Bocchieri, 31 97100 Ragusa (Rg)