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Il vino deve uscire dall'élite: serve un cambiamento generazionale e culturale

Il mercato del vino affronta sfide globali: calo dei consumi, necessità di rinnovamento e accessibilità. Per un vero rilancio serve un approccio inclusivo, nuove strategie e una visione orientata ai giovani

di Andrea Pilotti
Co-Fondatore di 5 Hats Srl
 
27 novembre 2024 | 11:46

Il vino deve uscire dall'élite: serve un cambiamento generazionale e culturale

Il mercato del vino affronta sfide globali: calo dei consumi, necessità di rinnovamento e accessibilità. Per un vero rilancio serve un approccio inclusivo, nuove strategie e una visione orientata ai giovani

di Andrea Pilotti
Co-Fondatore di 5 Hats Srl
27 novembre 2024 | 11:46
 

Come nostra consuetudine diamo uno sguardo alle ultime indicazioni dal mercato. Il primo semestre 2024 dimostra che vi è un “più” sulle vendite in export italiano con un +2,5%. Saranno poi i mesi autunnali a dire se alla fine di questo 2024 siamo arrivati ad invertire la tendenza degli ultimi anni, ma intanto gli esperti sono concordi nel dire che questo segno positivo sia più un “rimbalzo” tecnico che un vero e proprio cambiamento di direzione. Infatti i consumi di vino del mondo sono in costante calo, compreso il mercato nazionale come indica lo studio condotto da Nomisma in collaborazione con NiQ-Nielsenlq dove si evidenzia un calo del 3% (in volume) della vendita vino nel retail Italia. Sembra un po' il cane che si morde la coda: se si vende all'estero non si vende in Italia.

Il vino deve uscire dall'élite: serve un cambiamento generazionale e culturale

Per rilanciare i consumi del vino serve un cambio di passo, anche generazionale

Mercato del vino, quali domande farsi

Siamo quindi più che mai decisi a trovare le riposte corrette. Ci eravamo lasciati con le domande: vi è la volontà comune di colmare la sfiducia che si è insinuata nella catena trade che va dal produttore al consumatore? E se la risposta è sì: come lo si potrà fare? La prima domanda si smarca facilmente: abbiamo rivolto il quesito ad un consistente numero di buyer e di produttori e tutti a gran voce hanno detto “sì” (non ne avevamo dubbi). Tutti vorrebbero risolvere la situazione e tornare a vendere, vendere, vendere. Il vero scoglio, però, è rispondere alla seconda domanda. Questo perché prima di rispondere a “come” possiamo agire è fortemente necessario capire “cosa” distanzia chi vende da chi acquista. Qui la situazione si fa delicata perché la filiera è lunga tra chi produce e chi acquista. Sarete d'accordo con me che si debbano concatenare tutte le risposte per ottenere il risultato sperato e questo non è così semplice o scontato.

Mercato del vino, che momento vive il mercato

Anche in questo articolo coinvolgeremo per la consueta disamina chi quotidianamente vive di vino. Il viaggio è piacevole e ci porta in Franciacorta, dall'Azienda Lo Sparviere, a parlare con Daniele Gaia, direttore commerciale export del gruppo Agricole Gussalli Beretta di cui l'azienda fa parte insieme ad altre cinque cantine, tutte di proprietà della famiglia omonima.

Mi indicavi nella nostra conversazione che voi siete presenti in circa 30 nazioni estere, come stanno andando le vendite?
Non è un anno semplice, per molteplici motivi, economici e culturali , però il nostro gruppo si sta difendendo bene. Abbiamo cambiato alcune strategie commerciali e cercato di leggere la situazione in modo creativo e pratico, e per ora le vendite stanno rispondendo a queste idee con  buoni riscontri. Gli Usa e il Canada restano per noi un mercato fondamentale, ancora in crescita anche in un anno di generale incertezza, mentre non posso nascondere un po' di difficoltà su alcuni mercati “storici” europei ed asiatici. Per questi mercati credo fermamente che sia fondamentale supportare i nostri partner in modo concreto, avere con loro un rapporto e sopratutto una comunicazione diretta, andare a lavorare sul mercato per capire la situazione e cercare le giuste soluzioni per rispondere alle difficoltà.

Il vino deve uscire dall'élite: serve un cambiamento generazionale e culturale

Daniele Gaia, direttore commerciale export del gruppo Agricole Gussalli Beretta

Siete un gruppo che vanta aziende in cinque differenti regioni d'Italia e che produce, tra tutte le realtà, una vasta gamma di prodotti e quindi ha un ventaglio di proposte molto assortito ed eppure trovi ancora alcune difficoltà nel pianificare il business all'estero. Secondo la tua esperienza qual'è il motivo?
Anche qui non c'è un motivo unico, ma una combinazione di situazioni e fattori.. trovo che ci sia un po' di chiusura verso le novità, poca voglia di investire su nomi nuovi, anche quando offrono prodotti di altissima qualità e ricchi di personalità, contemporanei, innovativi. Talvolta vedo paura di affrontare il mercato cambiando gli schemi. Costruire un brand costa tempo ed energie: lo vivo in prima persona nel nostro gruppo in cui alcune aziende sono anagraficamente “recenti”, e noto spesso che gli importatori preferiscono non mettersi in gioco, e chiudere i portfoli attorno a nomi consolidati o denominazioni già conosciute. Salvo poi lamentarsi di un business “statico”. Inoltre, il problema di carenza di figure professionali rende difficile inserire nuovi prodotti a catalogo poiché gli importatori non hanno chi poi li può spiegare e proporre adeguatamente ai clienti finali. Anche gli eventi dedicati al vino - un tempo uno degli strumenti più validi per creare connessioni commerciali-  stanno vivendo un momento di crisi, muovendo sempre meno interesse nei professionisti, poiché anche loro sono rimaste legate a metodologie di organizzazione e promozione non al passo con i tempi. In momenti di difficoltà è importante essere dinamici, creativi, mentre talvolta tocco con mano quanto il “mondo vino” in tutti i suoi aspetti sia rimasto un po' ancorato a schemi classici.

Mercato del vino, come sta cambiando il mercato

Tu oltre ad occuparti di commercio sei anche un enotecnico e quindi hai una visione più ampia, dalla terra alla tavola. Qual'è il tuo pensiero sulla crisi che questo mondo del vino sta affrontando un pò in tutto il pianeta?
Indubbiamente il problema del cambiamento climatico è una sfida che ormai tutte le cantine toccano con mano, e impone di approcciare la produzione con attenzione, in modi differenti sia in vigna che in cantina rispetto al passato. Tocca poi fare anche un po' di autocritica… il mondo corre, i gusti cambiano insieme alle generazioni ed è venuto il momento di pensare a vini per i palati di oggi, con particolare attenzione alla bevibilità, al contenuto di alcol, alla freschezza. Aggiungo che i sistemi di comunicazione di oggi offrono enormi nuove possibilità che forse altri prodotti stanno sfruttando meglio. Il vino si è un po  chiuso attorno a schemi consolidati ed ora si trova un po' in affanno per recuperare interesse. E questo vale per tutta la filiera, a partire dai produttori, per coinvolgere però anche gli enti di promozione, la stampa specializzata, gli importatori, i ristoratori. Sono certo che ci sia ancora tanto da conquistare e credo assolutamente che il prodotto “vino” possa essere un prodotto contemporaneo, vincente, di successo,  ma deve sfruttare- anziché subire - il cambio generazionale dei clienti, ed imparare a usare meglio gli strumenti oggi a disposizione, sia a livello tecnico che comunicativo. Io ho sempre pensato ai vini come opere d'arte, figli del territorio ma anche della personalità e dell'abilità dell'enologo, diversi gli uni dagli altri. Bisogna fare in modo che questa personalità si senta nel bicchiere, che li renda maggiormente interessanti, unici, intriganti: devono trasmettere emozioni al cliente.

Cosa sta distanziando le nuove generazioni dall'avvicinarsi al vino e cosa sta facendo allontanare le generazioni più mature?
Mi collego a quanto detto in precedenza: temo si sia a lungo cercato di rendere il vino un prodotto d'élite, parlando una lingua comprensibile solo da esperti, sommelier, conoscitori, e orientandosi troppo verso clienti dalle possibilità di spesa importanti, con conseguente allontanamento di tanti potenziali nuovi appassionati da questo magnifico prodotto. Bisogna lavorare per avere prodotti più facili da bere, che possano essere serviti al calice, con buona acidità, e possano essere goduti da subito, con un utilizzo più dinamico - che peraltro rappresenta anche un più rapido rientro dell'investimento da parte del cliente ristoratore o wineshop. Inoltre l'immagine delle cantine e dei vini deve diventare più moderna, e parlare una lingua attuale. Questo per attirare i giovani. Per le generazioni più mature, quelle che si erano affezionate al vino, ai suoi produttori, alle sue storie, credo sia importare evitare le impennate dei prezzi che alcuni prodotti hanno avuto negli anni passati, e che hanno purtroppo un po  allontanato questi appassionati.

Mercato del vino, focus sull'Australia

Quanti importanti spunti. Ora sentiamo il pensiero oltre confine e più precisamente in Australia da Giuseppe Costagliola partner 5-Hats per i mercati dell'Oceania che vive a Sidney ed è un profondo conoscitore del mercato locale. L'Australia del vino sta vivendo momenti quasi drammatici al punto che è intervenuto direttamente il Governo producendo il documento One Grape & Wine Sector Plan - Resetting the path to vision 2050. L'obiettivo del Governo australiano e lavorare sull'attuale crisi con un piano ben strutturato perché nei prossimi decenni vi sia una grande ripresa del Brand Wine Australiano nel mondo.

Giuseppe tu che sei un professionista competente in termini di vino e sopratutto di business e da anni abiti li, come consideri questa crisi del vino australiano?
Quanto al vino australiano, direi che i motivi vanno ricercati principalmente in due fattori. Il primo riguarda le conseguenze latenti di un politica ostile adottata dal Governo Australiano verso la Cina nel periodo Covid; tale circostanza aveva inevitabilmente causato una reazione del Governo Cinese in termini di restrizioni all'importazione di prodotti australiani come la carne ed il vino. Considerando che l'export di vino australiano nell'era pre-Covid poggiava per circa il 50% sul mercato cinese, potrai immaginare come le conseguenze dei suddetti attriti abbiano avuto un impatto recessivo sui numeri. La buona notizia è che recentemente l'asse commerciale Australia-Cina sembra essere tornato a dialogare, dunque credo che nei prossimi anni vedremo in tal senso effetti decisamente positivi. Il secondo motivo è da ricercarsi in un fattore meramente economico. Il mercato del lavoro australiano ha vissuto nell'ultimo quinquennio un incremento del costo del lavoro tale da rendere la produzione locale di una bottiglia di vino ancora più costosa di quanto non lo fosse già stato. In queste circostanze si è creata una situazione per la quale oggi un vino medio australiano costi quanto un vino italiano di fascia medio-alta; non vorrei sembrare troppo patriottico, ma ad esempio credo sia chiaro comprendere come in giro per il mondo una buona bottiglia di vino italiano a parità di prezzo venga facilmente preferita ad un discreto vino australiano. Vorrei infine ricordare che l'Australia è un terra geograficamente lontana da molti paesi, pertanto il forte incremento dei costi di trasporto che si è verificato negli ultimi anni ha senza dubbio giocato la sua parte.

Il vino deve uscire dall'élite: serve un cambiamento generazionale e culturale

Giuseppe Costagliola partner 5-Hats per i mercati dell’Oceania

Mi hai sempre parlato del Governo australiano come forte, dinamico e decisionista che è molto attento alle dinamiche del commercio: come consideri questo piano per ristabilire il vino locale?
Il Governo australiano ha senza dubbio uno spirito fortemente protezionistico da molti punti di vista, non solo in materia di vino, basti a titolo esemplificativo pensare alle strettissime politiche dei visti per l'immigrazione. Il piano a cui hanno dato recentemente vita, il One Grape & Wine Sector Plan, ha mire di medio-lungo periodo. Nell'immediato credo il vero supporto al settore resti l'istituzione della ormai ultra-ventennale Wet (Wine Equalisation Tax), che in pratica rende qualsiasi vino estero importato in Australia commercialmente meno vantaggioso di un vino prodotto localmente . C'è altresì da dire che si iniziano lentamente ad intravedere gli effetti generati dalla ripresa dei flussi turistici, i quali stanno coadiuvando un leggero incremento dei consumi, in virtù della curiosità verso i vini locali da parte di chi visita il paese.

Spesso viaggi per lavoro non solo in Oceania ma anche in Europa e Regno Unito: che idea ti sei fatto di questa crisi del mondo vino?
Direi che il settore del vino, ed in particolare quello italiano, è trainato al suo interno dell'export. A loro volta, molti dei vini che hanno storicamente trainato l'export sono quelli che dal mio punto di vista rientrano in una determinata categoria, il lusso. Dunque, se andiamo a considerare gli ultimi dati in forte contrazione dell'export italiano, nonché il recente rallentamento globale del mercato del lusso, direi che siamo di fronte a circostanze tali da rendere inevitabili gli scenari stagnanti a cui stiamo assistendo. Alla luce di ciò, vorrei per concludere permettermi di fare una considerazione, invitando specificatamente i vertici delle organizzazioni di settore italiane a riflettere sulla necessità di puntare con costante efficacia su prodotti di maggior largo consumo: ad esempio il Prosecco o il Chianti, molto ben riconosciuti oltre i confini nazionali, ma spesso bistrattati come prodotti necessari soltanto a generare volumi.

Mercato del vino, cosa fare in Italia?

 Un sentito grazie ai nostri ospiti che ancora una volta ci aiutano a fare luce sui molteplici aspetti. La riflessione che dovremmo fare tutti in Italia è: se uno Stato attento e dinamico come quello australiano studia 6 passi concreti per uscire dalla crisi e lo fa come sistema ed interviene sul sistema..Noi dal canto nostro stiamo studiando passi facendo sistema sulle tematiche in cui intervenire?  Iniziamo dal capire cosa fare per avvicinare in modo sano e salutare un giovane al mondo del vino e cerchiamo di capire cosa lo allontana. Nate Westfall, blogger statunitense millennial ha scritto un articolo dal titolo allarmante: “Sono un millennial, questo è il motivo per cui ho smesso di bere vino”.  L'articolo indica in modo molto lucido le tre motivazioni più forti: costo elevato del prodotto, una mancanza di marketing mirato e la percezione che quello del vino sia un mondo esclusivo.

Il vino deve uscire dall'élite: serve un cambiamento generazionale e culturale

Sempre meno giovani bevono vino

Solleviamo le corrette domande allora: perché il costo per un cliente americano è così alto? Cosa possiamo fare? Perché non ci sono campagne marketing (non sto parlando della mera comunicazione ma di strategie) per avvicinare i giovani? Cosa possiamo fare per colmare questa lacuna? Perché abbiamo spinto così tanto a farlo diventare un mondo di élite che oggi è così distante, tanto da sembrare irraggiungibile? Cosa possiamo fare perché non sia solo per snob il mondo del vino? Le domande coinvolgono tutti gli elementi indicati prima, produttori, catena commerciale, retail e professionisti hanno tutti un concorso in causa e tutti dovranno trovare il loro cosa per migliorare la situazione. Le domande sembrano non finire mai, ma siamo vicini a trovare i punti su cui modellare il futuro mondo del vino italiano. Concentriamoci ancora un po' sul cosa e arriveremo al come presto.

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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